Angelo Gaja il Mozart del vino

Torna al magazine

Tutti gli articoli

Alto contrasto Aumenta dimensione carattere Leggi il testo dell'articolo

“Il coraggio di pensare diverso” è sempre stata la regola esistenziale
che l’ha ispirato in un lavoro “impostogli” dal padre, il quale però… non avrebbe potuto decidere meglio

Angelo Gaja è un vulcano, un uomo che è riuscito con lungimiranza e tanta determinazione a occupare i primi posti nelle carte dei vini dei più importanti ristoranti del mondo. È un vero cittadino del mondo, che ha creduto nella Langa, così come in altri territori a partire dalla Toscana, a Bolgheri e a Montalcino.
«Riconosco di avere fatto a Bolgheri (cantina “Cà Marcanda”) e a Montalcino (cantina “Pieve Santa Restituita”) una scelta di opportunità. Montalcino e Bolgheri hanno originato una Docg e una Doc che godono già sui mercati esteri di grande apprezzamento, grazie alla costruzione di domanda che validissimi produttori, molto prima del mio arrivo, avevano saputo avviare. Ho consapevolezza, arrivando in quei due luoghi sacri del vino toscano, di accingermi a raccogliere fiori in un giardino che non avevo coltivato. Avverto là di dover pagare un debito di riconoscenza».
Alla domanda che cosa è il vino per chi lo produce, l’incontrastato numero uno del Barbaresco risponde: «È lo strumento che consente di esprimere personalità, visione, storia di famiglia, “sense of humor”, anima dei luoghi (i tedeschi la chiamano “Heimat”), senso da rivelare (i giapponesi lo chiamano “Umami”), passato e futuro, gratitudine, accoglienza… il tutto attraverso un messaggero straordinario che è la bottiglia, con l’etichetta a riportare “Gaja” in caratteri più che visibili, e il vino in essa contenuta da bersi in compagnia, a costruire relazioni sociali, a creare condivisione. Non sono stato io a decidere cosa fare nella vita, era stato mio padre a impormelo, e la scelta non poteva essere più felice».

La famiglia Gaja

Dal fondatore Giovanni ad Angelo Gaja, nome simbolo del Barbaresco

Il Piemonte è una delle regioni più vocate per la produzione di grandi vini, dove il Nebbiolo assume spesso i contorni della poesia, ma il terreno ovviamente non basta: è necessaria la passione e la competenza di grandi uomini.
E il nome Gaja fa certamente parte di questa categoria.
Angelo Gaja, il nonno, negli anni ’60 ha avuto il merito di rinnovare le tradizioni e importare nuove tecniche produttive: dall’abbattimento della produzione per ettaro ad un maggior controllo della temperatura di fermentazione, fino a un attento uso della “barrique” e il ricorso a tappi più lunghi. In questo modo Gaja ha saputo restare al passo con i tempi, senza cadere nell’errore di fossilizzarsi nel solco della tradizione. Un successo, quello di Gaja, costruito con intelligenza e intuizione, ereditato dal rigore e dai sacrifici dei predecessori e sviluppato e consolidato negli ultimi decenni grazie alla formidabile guida di Angelo.
«Mio padre mi diceva: chi sa bere vino, la bevanda che più crea familiarità e celebra gli incontri, sa vivere. E produrre vino richiede capacità di confrontarsi e capire il senso del tempo. Servono dieci mesi di speranze, passione, emergenza per arrivare alla vendemmia. E, dopo la raccolta delle uve, l’affinamento in cantina dei rossi richiede almeno altri quattro anni per raggiungere la maturazione. Dando valore al tempo, il vino fa esprimere il produttore, ma andrebbero tutelati i produttori del pensare artigiano, che non sono necessariamente solo le piccole medie imprese. Piccolo è utile per l’innovazione, le aziende artigianali hanno spesso il coraggio di non produrre per il mercato: se va male possono fallire, ma se va bene sono apripista e il beneficio è per tutti. Il nostro mondo del vino ha bisogno del pensare diverso, delle imprese con tutti contro. Lo dimostra l’esperienza innovativa di Ferruccio Biondi Santi a cui devono dire grazie le 280 aziende vinicole di Montalcino. Un’esperienza di impresa, non a caso ora in mano ai francesi, che insegna a tutti noi italiani, e toscani in particolare, a “masticare di più il lusso”. A noi il lusso talvolta disturba, i francesi dimostrano, invece, che c’è una clientela che ricerca i prodotti esclusivi. E il “made in Italy” di qualità deve essere anche su quella fascia di mercato».

Angelo Gaja sorridente nei suoi vigneti

Ha lasciato una traccia indelebile nel mondo del Barbaresco, ora
proseguita dai figli, ma la “griffe” familiare ha messo salde radici
anche nelle zone enologiche toscane più vocate e conosciute all’estero

Il passato come esperienza, il futuro come obiettivo…

“Gaja” è un “brand” con 92 ettari di proprietà condotti nel pieno ri­spetto della natura, per una produzione di circa 350.000 bottiglie an­nue. Bottiglie preziose, dai colli allungati, che rispecchiano la personalità di Angelo Gaja e del suo modo di intendere il vino. Nel tempo è stato affiancato dagli eredi, Gaia, Rossana e Giovanni, che non mo­strano alcuna soluzione di continuità rispetto agli insegnamenti paterni. In cantina si susseguono sempre novità, lontane dalla mondanità e dall’omologazione… «L’artigiano deve fare dei vini che prima di tutto piacciano a egli stesso, quindi deve poi saperli raccontare. Anzi, que­st’ultimo aspetto è fondamentale», ribadisce con determinazione.
«È il Mozart dei vini, tutti gli altri sono Salieri…», ha detto di lui Giacomo Tachis, l’enologo che ha inventato il Sassicaia, un produttore mosso da una grande passione: «È la benzina del mio motore. È quello che mi salva anche nei momenti di crisi. In quei casi ha la funzione del tergicristalli. Non fa smettere di pio­vere, ma ti fa andare avanti».

La Langa una fucina di eccellenza, perché?

«Intanto perché qui c’è una materia prima unica. Pensate al Nebbiolo, ma anche alla nocciola Tondagentile. E non dovete dimenticarvi che questa è la terra di Cavour, di Luigi Einaudi, culla di quei prin­cìpi liberali che hanno stimolato e incentivato il senso imprenditoriale e il rispetto massimo per il denaro pubblico e l’impegno. Cavour è nato ricco ed è morto povero… La “Ferrero” è un modello di azienda famiglia, studiata nel mondo, per l’atten­zione che rivolge ai dipendenti».

Clima, sostenibilità e biodiversità

«Il clima sta cambiando. Il nostro Paese, con 8.000 chilometri di fascia costiera, è molto più favorito della Francia e della Spagna; gode di una orografia che lo rende ricco d’acqua. La conformazione collinare consente di elevarsi di quota, alla ricerca di climi più freschi (cosa che non può fare Bordeaux). L’Italia annovera un ampio numero di varietà di maturazione tardiva, che il cambiamento climatico penalizza meno di quelle precoci delle quali la Francia è ricca. L’annata 2017 insegna, per chi vuole imparare, le misure di contrasto da adottare».
Che aggiungere? Forse è meglio chiosare con una sua massima: nella vita ci vuole «il coraggio di pensare diverso».

Condividi l'articolo

Ceretto Aziende Vitivinicole S.r.l.

gajadistribuzione.it