Capacità di comunicare, di farsi comprendere anche solo con un semplice sorriso. Questo è Oscar Farinetti, fondatore e “patron” di “Eataly” che prima di impegnarsi anima e cuore al cibo e all’alimentazione, si occupava di elettronica come creatore della catena specializzata “UniEuro”, venduta nel luglio del 2003 alla public company “Dixons Retail” con sede a Hemel Hempstead (Regno Unito).
Nel 2004 intraprende una nuova avventura imprenditoriale, fondando la catena di distribuzione alimentare di eccellenza “Eataly”. Oltre al suo lavoro da imprenditore, collabora anche con l’università “Bocconi” di Milano e l’Università degli Studi di Parma per alcune ricerche di mercato. Diventa amministratore delegato del Premiato pastificio “Alfetra” di Gragnano, in provincia di Napoli, dopo aver contribuito alla sua ristrutturazione.
“Ho avuto la fortuna di nascere ad Alba”, ha dichiarato l’imprenditore, “ed è stata davvero una grande fortuna. Sono nato il 24 settembre, in piena vendemmia, figlio di un comandante partigiano imprenditore di Barbaresco e di una grande lavoratrice originaria di Barolo. Questo luogo è parte di una storia straordinaria. Qui sono nate persone che hanno fatto la differenza. Abbiamo fatto la Resistenza insieme per liberare questa città. E ci sono state personalità come Camillo Benso conte di Cavour, e, in questi decenni, Giacomo Morra, Carlin Petrini, Bruno Ceretto, Angelo Gaja. Inoltre, le famiglie Miroglio e Ferrero che hanno dato tantissimo a questo territorio”.
Una passione per il cibo che viene da lontano…
“Mio padre aveva supermercati di alimentari, un pastificio e un’officina di tostatura del caffè. Quando io, a 24 anni, nel 1978 sono andato a lavorare con lui, aveva appena trasformato un supermercato in un ipermercato, uno dei primi in Italia”. E poi, lasciato quel mondo, iniziò l’avventura di “Eataly”, “che nasce per colmare due lacune mostruose: la prima è la carenza d’informazione sull’elemento più importante e intima che abbiamo, il cibo, l’unica cosa che introduciamo quotidianamente nel nostro corpo. Una statistica racconta di solo un terzo della popolazione che conosce la differenza tra grano duro e grano tenero; due terzi invece sanno cosa sia l’Abs…”.
“Eataly” propone tante novità, ma anche qualche capisaldo irrinunciabile: l’attenzione alla qualità, la cultura del mangiar bene e l’utilizzo di quel linguaggio immediato che ha caratterizzato la comunicazione dell’azienda fin dalla nascita. Perché il cibo è una passione ancor prima che un lavoro.
Così ogni giorno entrando in questi negozi si può conoscere in modo semplice la filosofia di un produttore così come avere la fortuna di comprendere che la via della qualità e della responsabilità è la strada più conveniente per tutti. “Eataly” vanta una diffusione a livello mondiale, con 38 sedi di cui 16 all’estero (Europa, Giappone, Stati Uniti, Emirati Arabi) e sta “sbaragliando” il mercato sopratutto quello legato alla qualità francese nel mondo.
“Con “Eataly” li abbiamo distrutti perché abbiamo coperto per primi una fascia nuova, l’informale e l’autorevole insieme. Loro sono impazziti e quindi ci stanno copiando: a New York hanno aperto “District”, ispirato al 100% da “Eataly”, ma non funziona. Sai perché non funziona? Mentre la loro cucina è stata inventata dai cuochi ed è molto tecnica, la nostra è una cucina domestica, che nasce nelle case, è stata inventata dalle nostre bisnonne. Quindi la cucina italiana è replicabile da parte di tutti: tu vai a mangiare da “Eataly” un piatto di spaghetti e prima di andare a casa compri gli spaghetti di Gragnano, l’olio extravergine d’oliva buono, il Parmigiano Reggiano, il San Marzano e il giorno dopo fai il “bis” a casa tua. Se invece mangi un “fois gras” o te lo compri già fatto o sbatti la testa contro il muro”.
Poi è arrivata l’idea “pensare locale e agire globale”
“Noi di “Eataly” lo abbiamo fatto con “Fico Eataly World” a Bologna nel 2017”, ha spiegato, “per valorizzare la biodiversità italiana”. “Fico (acronimo di Fabbrica italiana contadina, ndr) Eataly World” è un progetto che assomiglia molto a Oscar Farinetti, perché fantasioso e creativo come il suo inventore: una superficie 50-100 volte maggiore rispetto a un classico punto vendita arricchito da nuovi elementi, ispirati a formule già sperimentate con successo come le biciclette a tre ruote dotate di cestino che si possono prendere gratuitamente per esplorare tutta l’area fieristica. Nei padiglioni inoltre vi sono moltissimi laboratori aperti al pubblico per imparare a conoscere e ad apprezzare il buon cibo. Da “Fico” non si va solo a mangiare, come capita di fare spesso in molte fiere gastronomiche anche di buon livello, ma si vive un’autentica “food experience” da raccontare quando si torna a casa. E da ricordare!
Fontanafredda, cuore, radici e… 160 anni di storia
La storica azienda vitivinicola di Serralunga d’Alba oggi fa parte della galassia gestita da Oscar Farinetti che l’ha rilevata da Monte dei Paschi di Siena nel 2007. Fontanafredda si presenta sul mercato con 8 milioni di bottiglie l’anno, esporta il 50 per cento e impone al mercato il Barolo e altri prestigiosi rossi delle Langhe in generale. Il polo produttivo, che va oltre i vigneti di Serralunga, è di 78 ettari e comprende anche la Barbera.
“La nostra è una grande azienda che ha voglia di comportarsi come una piccola azienda, piena di voglia di fare, giocando da squadra corta. Il 2018 è stata la prima vendemmia tutta certificata bio, anche se continueremo a chiamare il nostro vino “Libero” perché il termine “biologico” ci sa un po’ di medicina… All’estero iniziano a segnalare i vini non biologici e tra poco lo faranno anche in Italia, perciò dobbiamo essere della partita e con un certo vantaggio. I vini da agricoltura biologica oggi sono straordinari e riteniamo che lo siano anche i nostri”.
Non solo Fontanafredda ma nell’universo della famiglia Farinetti c’è anche Borgogno, che non ha bisogno di presentazioni: da sempre è infatti un simbolo per i Barolo più tradizionali e longevi, vini capaci di stupire anche a distanza di decenni dalla vendemmia.

Largo ai giovani…
“Ho ceduto ai figli le quote di famiglia, il 60 per cento, almeno da un paio di anni e da mesi per “Eataly” non faccio più nulla. Mi sono rottamato: vado in giro a far chiacchiere, ma la gestione è tutta in mano ai miei figli che sono bravissimi”. Francesco e Nicola, affiancati dal sodale socio della prima ora Luca Baffigo Filangieri e al presidente esecutivo Andrea Guerra, così come le quote di proprietà, divise tra i tre eredi (il terzo fratello, Andrea, è consigliere di “Eataly”) sono chiamati in prima persona a gestire un colosso con papà Oscar che rimane presidente, nonché secondo azionista con il 17,87%, di “Eataly Real Estat”, di “Eataly Distribuzione” (la joint venture con Coop 3.0 e Coop Liguria), di “Eataly Vini”, di “Eatinerari”, oltre che amministratore unico di “Eataly Piacenza Real Estate”, presidente onorario di “Eataly World” e alle cariche nei Cda di altre società del gruppo.